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Le Campestre, la casa del Conciato Romano

È la casa del Conciato Romano, e come tale tutti la conoscono da quando l’antichissimo formaggio, di gran carattere, ha varcato i confini della Campania e le soglie delle cucine più o meno stellate.
Ma Le Campestre, azienda agrituristica della famiglia Lombardi, è anche altro: è un luogo immerso in una natura rigogliosa, quella che alcuni non immaginano, nel Casertano, tra antichi borghi arroccati, e in cui si può riscoprire il piacere d’infanzia del pranzo in campagna.

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Alle spalle di un’azienda che è, per tanti versi, un modello da imitare, c’è una storia di emigrazione e di ritorno; e, col ritorno, l’intuizione di avere a disposizione, nella casa e nella terra di famiglia, un patrimonio da riscoprire, da valorizzare, anche contro le convinzioni comuni. Una storia “normale” di determinazione e anche di immaginazione, perché non è così scontato vedere risorse là dove molti vedono solo fatica e miseria.

Alle Campestre si arriva percorrendo strade bordate di ulivi, attraversando boschi fitti e sfiorando il borgo medioevale di Sasso, che incombe dall’alto di un pinnacolo roccioso, e già il silenzio, e la natura in parte dolce e in parte drammatica, predispongono ad accettare il consiglio che arriva dal cartello posto all’ingresso dell’agriturismo: “Ora che sei tra di noi… rilassati”.

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L’azienda agricola nasce nel 1984, dopo il ritorno dal Belgio, in cui la famiglia era emigrata in cerca di lavoro; ma la pastorizia lì la si praticava da sempre, dal lontano 1887, racconta Manuel Lombardi, che oggi conduce l’azienda insieme con la moglie Eulalia e la madre Liliana.

È Liliana che governa la cucina, di terra, di tradizione e basata sui prodotti dell’azienda: olio extravergine di olive caiazzane, legumi dolci e delicati, ortaggi, grano, maiale nero casertano e i suoi salumi, Conciato Romano e primosale, vino rosso, il Casavecchia che viene dalle nebbie del tempo. Ma è Liliana anche colei che per prima ha intuito le potenzialità della sua terra e del formaggio che faceva da sempre, su ricetta di sua suocera, tipico della zona e che poi si è rivelato un lascito di secoli remoti (conosciuto già dai Romani ma forse risalente ai Sanniti), quello che alcuni ritengono sia il formaggio più antico d’Italia e che per Manuel è di più: cultura di un territorio, manuale di antropologia, identità.

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Correva l’anno 1996 e Liliana seguiva un corso per trasformare l’azienda in agriturismo. I discenti portavano alle lezioni i propri prodotti, se li scambiavano, li assaggiavano, e fu in quell’occasione che il Conciato capitò a contatto con le papille di un assaggiatore dell’Onaf (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi) al quale gusto e lavorazione richiamarono ricordi di qualcosa di noto.
Cominciarono così l’ascesa e la valorizzazione del Conciato, passate attraverso la ricostruzione della sua storia, passo dopo passo, e l’evoluzione della sua lavorazione fino a farne ciò che è oggi.
Latte crudo, caglio di capretto che conferisce la caratteristica piccantezza, rottura della cagliata a mano; quindi inserimento della cagliata nelle fuscelle di plastica (oggi, in deroga alla normativa, anche di vimini). Le formelle vengono capovolte due o tre volte;  segue la salatura, a secco, in superficie. Dopo dodici ore il formaggio viene estratto dalle fuscelle e posto ad asciugare all’aria. Poi ha inizio la conciatura, quella a cui il formaggio deve il nome e che, insieme alla stagionatura, gli conferisce il suo carattere davvero unico: si lavano le piccole forme con acqua di bollitura della pasta, ricca di amido,  e quindi se ne tratta la superficie con olio, vino Casavecchia, peperoncino e timo serpillo. Infine i caci vengono inseriti in anfore di terracotta coperte da un tappo di sughero per la stagionatura, che dura da sei mesi a due anni e oltre. Tanto l’uso del vino (che ha sostituito l’aceto) quanto quello del tappo di sughero, in luogo del piattino che usava in passato, sono parte del perfezionamento delle tecniche di lavorazione che ha fatto del Conciato un prodotto di pregio, ricercatissimo, divenuto Presidio Slow Food nel 2002.
Oggi, per dire, sono 27 le pizze che lo impiegano come ingrediente, per non parlare dei piatti della ristorazione anche “alta”.

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Alle Campestre, però, si va per il Conciato ma anche per assaggiare i piatti della cucina di mamma Liliana e di Eulalia, dai sapori che, mai come in questo caso, possono essere definiti genuini. Come nei pranzi dell’infanzia di coloro che hanno superato i 50, quando mangiar fuori era solo mangiare in campagna, pasta fatta in casa e pollo alla cacciatora, e alla fine del pasto correre per l’aia inseguendo le galline.

Olive, sott’oli (come il delizioso e croccante cavolo bianco), salumi:

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Primosale con pomodorini dell’orto:

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Zuppa di fagioli, ceci e castagne con crostini di pane nero:

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Scialatielli integrali:

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E l’imprescindibile Conciato accompagnato, giacché siamo in settembre, dai fichi:

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Alcune camere consentono di fermarsi per la notte, per un relax completo, godendosi un silenzio che a noi cittadini sembra quasi prodigioso e una prima colazione in cui come fosse nulla potrebbe venir servita della ricotta calda sul pane.
E, su tutto, un’accoglienza familiare e generosa.

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Il Conciato con infisso il ramoscello di ulivo utilizzato per estrarlo dall’anfora

A proposito di modelli da imitare, Le Campestre fa parte di una rete di piccole aziende a conduzione familiare dell’alto casertano che puntano sulla qualità e si propongono di comunicare al meglio la ricchezza del proprio territorio: Racconti di terra – Artigiani del gusto.

 

Azienda Agrituristica “Le Campestre”
Via Buonomini, Castel di Sasso (CE)
Tel. 0823 878277
Cell. 347 0580014 / 366 7201685
email: info@lecampestre.it
www.lecampestre.it

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Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

1 commento

  • E’ buonissimo, soprattutto sulla pasta! Lo commercializzo nelle province di Pavia e Milano con la mia attività di vendita ambulante (nelle rievocazioni storiche e mercatini) dedicata ai prodotti di archeogastronomia (“Il convivio di Mussi Laura”).

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