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L’isola di terra, la vite, il coniglio

In principio era la vigna.
3000 ettari fino agli anni’60, sull’isola d’Ischia, che di vigna viveva. Tra vigna e orto venivano coltivati 5000 ettari, e il turismo di massa era di là da venire.Ma sarebbe arrivato, insieme all’abusivismo, e avrebbe ridotto gli ettari destinati alla vite a 350 nel 2000.
Sette milioni di visitatori all’anno portano ricchezza ma uccidono l’agricoltura. E anche se la coltura della vite oggi è di nuovo in crescita e occupa 600 ettari, il ritorno alla terra è ancora lontano. Oltre il 50% delle vigne appartiene a privati che producono per se stessi.
Riccardo d’Ambra racconta così Ischia: “La donna più bella del mondo, ma se te ne innamori son dolori. Io me ne sono innamorato”. E per amore ha deciso di ricordarle chi è, chi è stata: un’isola di terra, intimamente vocata all’agricoltura.

Dal 2000, da quando cioè è fiduciario della condotta Slow Food di Ischia e Procida, d’Ambra ha avuto un obiettivo preciso: recuperare l’identità agricola dell’isola. E ha scelto il coniglio da fossa, Presidio Slow Food dal 2001, come veicolo per il recupero: indissolubilmente legato alla ruralità, non un prodotto ma la memoria dell’eredità culturale più autentica di Ischia, un simbolo, un’arma per raccontare e recuperare una tradizione.

IMG_6056Non ci sarebbe mai stato il coniglio da fossa senza la vigna. La vigna era la sussistenza. Il contadino scavava la fossa per ottenere terra ossigenata per concimare le viti e, nell’ottica intelligente dell’ottimizzazione, usava la fossa stessa per allevare i conigli che, fuori da lì, avrebbero prodotto danni alle coltivazioni.

Fosse di due metri per tre, pressappoco, in cui l’agricoltore creava un foro poco profondo diretto a monte, un invito per il coniglio a scavare. Coniglio, dal latino cuniculus: il coniglio ha lo scavo nella sua natura; scava, e scava in piano perché è indolente. In piano, verso la montagna, cunicoli lunghi anche centinaia di metri in cui la femmina viveva i suoi amori e i suoi parti. Ma il cibo glielo procurava il contadino-allevatore, sempre ottimizzando: puliva le parracine (i muretti a secco caratteristici dell’isola) dall’erba, la faceva appassire per qualche giorno e la usava per alimentare gli animali, gettandola sul fondo della fossa.

Il coniglio non era una fonte di sostentamento ma veniva allevato per il consumo familiare, perciò l’agricoltore non si sforzava eccessivamente per assicurarne la sopravvivenza e la mortalità degli animali era molto alta, soprattutto a causa di errori nella scelta delle erbe per l’alimentazione. Come ogni cosa che non provenisse dalla vigna, le donne vendevano il coniglio quando bisognava preparare il corredo da sposa per le figlie; i padri invece lo mettevano in tavola per dimostrare di aver accettato il pretendente venuto a chiedere la mano della figlia: era integrato nelle usanze della vita quotidiana, e piatto tradizionale dell’isola fin dal 1500.

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Quel coniglio è ormai perduto. La razza originaria non esiste più, perciò il recupero del coniglio da fossa consiste in questa fase proprio nella selezione di una razza con caratteristiche simili. Dal “leprino di Viterbo” al coniglio “ ‘e santu Nicola”, la ricerca prosegue passando attraverso il processo di adattamento dei conigli alla fossa. Le femmine vengono messe alla prova con un paio di parti in gabbia, poi vengono trasferite nella fossa ed i piccoli nati là sono appunto i conigli da fossa propriamente detti.

Riccardo d’Ambra, coadiuvato dalla figlia Silvia, agronoma, ha lanciato l’operazione di recupero fondando l’Associazione “Green Ground – Il terreno verde” che riunisce gli “agricoltori zootecnici custodi” dell’isola d’Ischia, dediti alla salvaguardia dell’antico metodo di allevamento del coniglio ma anche alla coltivazione di prodotti in via d’estinzione come i fagioli zampognari o i cosiddetti fagioli “fascisti” (bianchi con macchie nere);  e ha proseguito attraverso l’organizzazione del convegno “Insieme per difendere l’agricoltura nell’isola d’Ischia. Cibo, ambiente e identità locale”, nel 2009, nel corso del quale è stato varato un patto in dieci punti per restituire a Ischia la sua natura di isola di terra, recuperando spazi all’agricoltura,  istituendo l’Albo dei Custodi dell’isola, realizzando il macello pubblico che manca da dieci anni e preservando la biodiversità di una terra varia e affascinante perché, come dice Riccardo, è “un continente nel palmo di una mano”.

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L’obiettivo, o il sogno, è quello di arrivare ad avere sull’isola dieci allevatori per una produzione di 1000-1500 conigli da fossa all’anno, e soprattutto di non fare estinguere, oltre ai singoli prodotti, l’identità contadina di Ischia.
Nell’attesa, Riccardo e Silvia d’Ambra, affiancati dalla loro grande famiglia, propongono cucina tipica nella loro trattoria, Il Focolare, tra i boschi del Cretajo, ricchi di erbe spontanee e funghi. Cucina di terra, come si addice all’identità ischitana. Quella di un’isola rurale, bellissima e fragile.

Trattoria Il Focolare
Via Cretajo al Crocefisso 3
Barano d’Ischia (NA)
tel. 081902944
info@trattoriailfocolare.it
www.trattoriailfocolare.it 

*Quest’articolo è precedentemente apparso su Gastronomia Mediterranea.

 

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Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

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