Prodotti, produttori

Storia di sognatori: le alici di menaica

Si comincia con un sognatore.
Ci vuole un sognatore per intraprendere l’impresa di valorizzare il prodotto tradizionale di una minuscola striscia costiera del Cilento meridionale. Poi, però, il sognatore deve fare i conti con la realtà intorno al sogno: trasformare lo slancio in pazienza, la visione in perseveranza, per reggere l’impatto con gli ostacoli burocratici e le strettoie di una legislazione che, con le buone intenzioni, alle lavorazioni tradizionali fa danno.

Qui a Marina di Pisciotta, piccolo, tranquillo e poco raggiungibile borgo sul mare a un tiro di sasso dalla più celebre Palinuro, vive una sognatrice che si chiama Donatella Marino. A lei si deve il successo e la notorietà di ciò che qui si produceva da sempre: le alici di menaica, Presidio Slow Food dal 2001.
Si producevano da sempre, sì. Per l’autoconsumo, o per venderne piccole quantità ai turisti “di ritorno” e a quelli che avevano avuto modo di assaggiarle sul posto e comprensibilmente volevano portarsele a casa. Ma a conoscerle erano solo i pochi fortunati che frequentavano Pisciotta. Finché una sognatrice non ha capito che a Pisciotta c’era un tesoro. E che doveva saperlo anche qualcun altro.
E’ tutta qui, la ricchezza dell’Italia (e magari lo si comprendesse, finalmente): negli straordinari prodotti della terra, del mare e del lavoro applicato alla terra e al mare. Le alici di menaica, appunto: un metodo di pesca antichissimo, un tempo praticato su tutte le coste del Mediterraneo, con una rete sottile ed ecocompatibile perché le alici più piccole la attraversano senza difficoltà. La si stende in mare, sbarrando la rotta del banco di pesci in passaggio. E la si ritira, quando va bene, carica dell’argento del Mediterraneo.

IMG_0747 copiaLe alici si pescano ovunque, nei nostri mari: cos’avranno di speciale quelle di Pisciotta? L’uso della menaica o menaide, appunto (che è la rete, ma anche la barca): le alici più grandi si incastrano per il collo nel filo sottilissimo della rete. Quando ne vengono staccate, la testa e i visceri si separano dal corpo, così le alici si dissanguano, e continuano a perdere il sangue nelle vasche piene di acqua di mare in cui le depongono i pescatori. Allo sbarco, le alici vengono immediatamente consegnate al laboratorio che le lavorerà, senza essere mai refrigerate: vengono messe subito in salamoia, in attesa della salagione vera e propria, o direttamente sotto sale. Sale marino artigianale delle saline di Trapani.
Il risultato? L’assenza di sangue evita che le carni si ossidino o degradino, fa sì che appaiano rosee, chiare, e prive di qualsiasi retrogusto amarognolo. Non solo: il distacco immediato delle interiora dalle carni del pesce fa sì che queste alici siano esenti da anisakis, e possano essere consumate crude. La menaica non è la rete delle grandi quantità, è la rete del pesce di qualità. Il sapore delle alici sotto sale è molto più simile a quello di un’alice fresca di quanto sia normalmente. E le qualità organolettiche restano immutate, rispetto a quelle di un’alice appena pescata, fino ad almeno 13 mesi di conservazione sotto sale, come attestato da studi incrociati dell’Istituto di Igiene e Profilassi di Salerno e dell’ASL di Villammare. Dopo questo periodo, è ancora possibile consumare le alici, che durano fino a 2 anni. La conservazione sotto sale avviene, a norma di legge, in contenitori di PVC, ma al momento una parte delle alici è in lavorazione in terzigni di legno, come da tradizione, perché è in corso un nuovo studio per verificarne le qualità organolettiche e la conformità ai parametri imposti dalla legge.

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Il periodo di pesca delle alici con la menaica va dai primi di aprile alla fine di luglio, e il pesce deve maturare almeno 90 giorni sotto sale prima di essere pronto per il consumo. Meglio ancora, 4-5 mesi. Nell’unico laboratorio di lavorazione riconosciuto, quello appunto di Donatella Marino a Pisciotta, il liquido di affioramento viene prelevato, fatto decantare per tre mesi, privato delle impurità, bollito, filtrato e diventa così il garum degli antichi Romani, simile alla colatura di alici di Cetara, con la differenza che qui il passaggio aggiuntivo della bollitura consente una conservazione più lunga.
La creazione del Presidio Slow Food ha fatto sì che i pochi pescatori con la menaica in attività (sei barche a Pisciotta, due a Palinuro, una a Marina di Camerota, per quanto se ne sa) abbiano trovato convenienza e vantaggio nel perpetuare il metodo di pesca: tutte le loro alici vengono conferite al laboratorio, salvo piccolissime percentuali di prodotto fresco venduto ai ristoranti del posto o usato per consumo personale; il prezzo viene stabilito da loro stessi in base alle previsioni sulla mole del pescato prima dell’inizio della stagione. Il prodotto finale, una volta pronto per il consumo, equivale, in resa, a un quarto del pescato. Anche per questo motivo le alici di menaica non sono economiche, ma è anche vero che il prezzo di vendita fu stabilito da Slow Food nel 2001 ed è rimasto invariato, da allora.
Viaggiano, le alici di menaica. Arrivano in ristoranti di New York, di Parigi, del nord Italia. Paradossalmente, è proprio in Campania che non è facile procurarsele, a meno di non andare in gita a Pisciotta (e ne vale la pena). Viaggiano e si vendono tutte, anche quando la stagione porta pesca abbondante.
Viaggiano da quel lontano 2002 in cui, al Salone del Gusto di Torino, fu organizzato il primo laboratorio di degustazione, mettendo a confronto sei tipi di alici di provenienza diversa, e 300 degustatori espressero all’unanimità la loro preferenza per le alici di menaica, arrivate al Salone in sordina, con poche speranze e i molti dubbi di ogni Davide che si accinga ad affrontare Golia. Gli ordini fioccarono, e fioccano da allora.
Se, oltre a provare le alici sotto sale, doveste avere la fortuna di poter assaggiare (solo in ristoranti del luogo, e in quelli giusti) le alici di menaica fresche, scegliete tra le innumerevoli ricette locali, semplici ma gustosissime: la più classica di tutte, l’insalata di alici, in cui le alici vengono semplicemente condite con olio, succo di limone, sale, aglio, prezzemolo, senza tempo di marinatura; ma potete trovarle solo qualche volta, e solo a pranzo, poco dopo che le barche sono rientrate: a cena sarebbero passate già troppe ore per consumare le alici crude.
O gli spaghetti con aglio, olio, pomodorini e alici saltati insieme in padella per pochi istanti. Il tortino di alici, ottenuto impastando le alici con mollica di pane raffermo, prezzemolo, aglio, limone, olio e sale, cosparso di pane grattugiato e infornato. O ancora le alici ‘nchiappate, aperte a libro e farcite con un impasto di uova, formaggio di capra, prezzemolo, mollica di pane, poi infarinate e fritte, e talvolta immerse nel sugo di pomodoro bollente.
E ancora polpette, alici alla scapece, arreganate (in teglia con origano, olio, aglio, aceto, prezzemolo), ammollicate (sempre in teglia, coperte da un impasto di pane, pecorino, aglio, prezzemolo, alloro e spruzzate con aceto), marinate, impanate e fritte… A volerle elencare tutte si finirebbe come il Bubba di Forrest Gump con i gamberi. Non c’è che provarle. Sul lungomare di Pisciotta, sotto un albero, di fronte ad un mare tra i più puliti d’Italia, con gli ulivi millenari che assediano il porticciolo.
Oppure consolarsi con quelle sotto sale, anche a casa propria: una gran bella consolazione.

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Alici di Donatella Marino 
Marina di Pisciotta (Sa)
via Stazione Vecchia, 3
tel. 347 4439102
340 3380231
menaica@virgilio.it
www.alicidimenaica.it 

 

*Quest’articolo è precedentemente apparso su Gastronomia Mediterranea.

Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

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