Prodotti, produttori

Il Carmasciano dei Forgione, tra antichissime divinità e lavorazione tradizionale

Rocca San Felice, in provincia di Avellino. Siamo in Contrada Carmasciano, la località del comune che dà il nome a un formaggio, tanto particolare quanto raro, che solo in questo luogo può essere prodotto, non per vincoli di legge ma per merito della natura.
Il pecorino di Carmasciano infatti non è tutelato da marchi europei come DOP o IGP, ma è inserito unicamente tra i PAT, i prodotti agroalimentari tradizionali; perciò nulla vieterebbe di produrlo in altre aree geografiche, se non fosse il territorio stesso a conferirgli le caratteristiche peculiari che ne fanno un pecorino diverso da ogni altro.
Qui le pecore, prevalentemente di razza Laticauda, producono un latte i cui sentori e aromi derivano dalle erbe di questi pascoli, rese uniche dalla presenza della mefite d’Ansanto, perché è lei, la mefite, la principale artefice della complessità organolettica del Carmasciano.

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È de l’Italia in mezzo
E de’ suoi monti una famosa valle,
Che d’Amsanto si dice. Ha quinci e quindi
Oscure selve, e tra le selve un fiume
Che per gran sassi rumoreggia e cade,
E sì rode le ripe e le scoscende,
Che fa spelonca orribile e vorago,
Onde spira Acheronte, e Dite esala.
In questa buca l’odïoso nume
De la crudele e spaventosa Erinne
Gittossi, e dismorbò l’aura di sopra.

Lo sapeva bene Virgilio, che cita la Valle d’Ansanto nel libro VII dell’Eneide, e lo sapevano bene gli antichi italici che ne avevano fatto un luogo di culto consacrato, appunto, alle dea Mefite. Lo sanno altrettanto bene i pastori e i casari di questo piccolissimo territorio: senza la mefite, un laghetto dalle cui acque si sprigionano  forti esalazioni sulfuree, senza i pascoli della zona, si può anche produrre un buon pecorino, ma di certo non un Carmasciano.
E a vederlo lavorare, il Carmasciano, qui nell’azienda della famiglia Forgione, si capiscono tante altre cose. Sono Francesco e sua moglie, la signora Carmela, a fare tutto, ma – non ce ne voglia Francesco – è soprattutto Carmela che ogni singolo giorno prepara il formaggio con le sue mani, utilizzando metodi e strumenti immutati da sempre. Qui la lavorazione industriale è felicemente ignorata; si allevano 120 pecore che procurano latte sufficiente per una piccolissima produzione (circa dieci quintali all’anno) realizzata nel modo più artigianale che si possa concepire.
Il latte, ottenuto da due mungiture quotidiane, viene riscaldato fino a 40° in una caldaia di rame da circa 30 litri, su fuoco di legna. Si aggiunge caglio liquido vegetale, poi si rompe la cagliata con un attrezzo di legno, il “ruotolo”, la si lascia depositare e quindi la si pressa in fuscelle di vimini, per poi sottoporla a una breve stufatura in siero caldo, per favorire la formazione della crosta. Il formaggio viene poi salato a secco e lasciato stagionare in un piccolo locale, in maniera tutta naturale, senza ventilazione o condizionamento dell’aria.

La signora Carmela "governa" il latte sul fuoco di legna e ne controlla la temperatura.

La signora Carmela “governa” il latte sul fuoco di legna e ne controlla la temperatura.

 

La caldaia viene delicatamente spostata per l'aggiunta del caglio.

La caldaia viene delicatamente spostata per l’aggiunta del caglio.

 

La cagliata viene rotta e poi pressata nella fuscella, quindi rivoltata e pressata di nuovo. Più tardi viene brevemente stufata nel siero caldo.

La cagliata viene rotta e poi pressata nella fuscella, quindi rivoltata e pressata di nuovo. Più tardi viene brevemente stufata nel siero caldo.

Il prodotto che ne risulta è un formaggio grasso, dalla crosta marrone, canestrata, che viene unta con olio per evitare spaccature e muffe; un pecorino dal gusto e dall’aroma caratteristici che può essere consumato, fresco, a partire dai 3 mesi, anche se è preferibile attendere che ne abbia almeno sei, e che talvolta raggiunge i tre anni di stagionatura.
La famiglia Forgione, che è tra i 3 o 4 produttori esistenti, riserva per sé le forme più grandi, da 5-6 chili, per servirle agli ospiti del suo agriturismo, insieme a un menù che comprende piatti semplici come la pasta fresca (preparata dalla insostituibile signora Carmela) e la carne di agnello.

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Con il siero residuo della lavorazione del Carmasciano si prepara una squisita ricotta che ho avuto il privilegio di gustare calda, appena fatta, versata sul pane casereccio.

La "zuppa" di pane e ricotta calda.

La “zuppa” di pane e ricotta calda.

Al siero, portato a 65°,  si aggiunge a poco a poco una piccola quantità del medesimo latte usato per il pecorino, perché anche la ricotta non deve essere una ricotta qualunque, come ci tiene a dire il signor Francesco, ma una ricotta di Carmasciano.

Si aggiunge latte al siero caldo.

Si aggiunge latte al siero caldo.

La ricotta viene versata nei cestini.

La ricotta viene versata nei cestini.

Inutile chiedere a Francesco e Carmela quale sia il segreto del loro Carmasciano: diranno, con molta modestia, di essere fortunati perché si trovano sul versante giusto della mefite, sul lato nord, dato che il vento spira spesso da sud, e anche alla distanza giusta, perché se si è troppo vicini si rischia che gli aromi siano troppo intensi. E ribadiranno che il segreto sta nelle erbe del pascolo, tanto che, se ci si sposta di pochi chilometri, il formaggio cambia completamente sapore.

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La produzione della giornata: due forme di Carmasciano, 5 ricotte.

Ma a me pare evidente che il segreto stia anche nel continuare a praticare una lavorazione che se ne infischia della modernità e si basa su metodiche tradizionali tramandate da generazione a generazione. Senza per questo voler togliere meriti alla dea Mefite, per carità: meglio non sfidarla, dal momento che, come ogni antica divinità, può diventare assai poco benevola…

Carmela e Francesco con, al centro, Salvatore Lista (di Sagra).

Carmela e Francesco con, al centro, Salvatore Lista (di Sagra).

*Publio Virgilio Marone, Eneide, Libro VII. Traduzione di Annibal Caro.

Agriturismo Forgione – Contrada Carmasciano, 5, Rocca San Felice (AV)
Tel: 0827 215107 – 0827 45211
info@agriturismoforgione.it

 

Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

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