Tra le manifestazioni di rilievo nazionale nell’ambito enogastronomico, il Taste di Firenze è la mia preferita: un’immersione totale, lunga tre giorni, in un mare di prodotti veramente selezionati e, salvo rarissime eccezioni, di qualità davvero elevata. Tutto si assaggia, di tutto si può parlare con i produttori, c’è da conoscere e da imparare.
All’edizione di quest’anno, appena conclusa, ho fatto una sorta di censimento delle produzioni campane presenti, con una certa insoddisfazione, devo dire.
So che i costi da affrontare per gli espositori sono ingenti e che l’impegno è pesante, ed è chiaro che questo costituisce un freno alla partecipazione di molti, ma l’impressione che si perda un’occasione importante per far conoscere se stessi e il patrimonio regionale è grande.
Non che la pattuglia di campani sia numericamente inconsistente: una ventina di espositori non è poco.
Ben rappresentata la pasta, con cinque aziende (Gragnano in Corsa, Russo, Gentile, Pastificio dei Campi e Cooperativa Pastai Gragnanesi), scarsa la presenza di pomodori in conserva; per il resto, un paio di aziende di conserve ittiche, qualche confettura e succo di frutta, i biscotti di Galameo e la sua crema spalmabile Galamella, verdure e ortaggi in conserva, il caffè di Anhelo, i torroni di Dolciterre e i croccantini di Autore, i fichi di Santomiele, liquori della Costiera Sorrentina e le erbe semidry (scoperta interessante) di Elody.
Spiace non trovare i tanti Presidi, le DOP, gli oli (rappresentati soltanto da L’Arcangelo) e soprattutto formaggi e latticini – se qualche problema c’è con mozzarella, provola e fior di latte, da consumare freschissimi, non siamo certo a corto di provoloni, pecorini, caciocavalli di cui menar vanto – e salumi.
E poiché Taste non è solo un interessante svago per appassionati, ma soprattutto un’occasione per entrare in contatto con i buyers, qualche sacrificio per esserci forse andrebbe fatto, con un occhio al rapporto costi/benefici, certo, e uno, molto attento, al futuro.