Prodotti, produttori

I fichi cilentani di Murikè. Cibo, non food

“Noi produciamo cibo, non food; quello ha a che fare con un processo di marketing, che è una cosa che non ci interessa. Non abbiamo nemmeno un sito internet. Eppure nel mese di dicembre il nostro prodotto è esaurito. Non so come accade. Ma c’è troppa comunicazione sul cibo, perciò io sto zitto. Preferisco tacere. Quando torneremo a chiamarlo cibo, anziché food, io parlerò.”

Mi sono svegliata in mezzo agli ulivi e al silenzio, e adesso, mentre fuori due vivaci e attive donne lavorano a farcire fichi essiccati, ascolto Eugenio Cioffi raccontare la sua idea di azienda e la sua visione di questa terra fertile dimenticata dagli uomini, di certo non da Dio: “Noi cilentani siamo marginali, siamo un popolo di fatica, ma anche di mediocrità; di eccellenza, perché la natura ci ha donato queste cose meravigliose, ma di mediocrità culturale. Inutile proporre nel marketing delle metodologie tardo-rinascimentali quando da noi il Rinascimento non è mai arrivato”.


Ed è strano come questo Cilento venga narrato da ciascuno con uno sguardo diverso: quello dell’idealista o quello del disincantato, quello dell’innamorato, benché riluttante, o dell’amante deluso. Vasto (2400 km², 102 comuni), vario e nello stesso tempo uniforme, tra nord e sud, tra la costa e l’interno, con dei colori solo suoi impossibili da immaginare per chi non li abbia mai visti, così mal conosciuto che qualcuno lo confonde col Salento, ha una cosa, soprattutto, che lo accomuna e lo tiene insieme: la tradizione contadina. A quella tradizione, troppo tradita, si ispirano Eugenio e sua moglie Angela per cercare di crearne una nuova, basata su una moderna consapevolezza e sulla salubrità del prodotto. Nasce così Murikè, questo luogo affascinante nei dintorni di Sicilì (frazione di Morigerati), che incarna il progetto di azienda multifunzionale vagheggiato da Angela ed Eugenio: ospitalità, ristorazione,  produzione, trasformazione e vendita. Un progetto che prende corpo intorno ai fichi, prodotto-simbolo del Cilento e parte fondamentale della sua storia contadina.

Murikè è l’antico nome greco di Morigerati, e significa “terra delle ginestre”: proprio su grate di ginestre, fino a qualche decennio fa, si ponevano ad essiccare i fichi, al sole. Quando, alla morte del padre, Eugenio ha deciso di dare nuova vita a questa terra che ospitava l’azienda zootecnica di famiglia, è a questo elemento identitario della sua terra che ha pensato, alla coltura che, insieme all’olivo, era la più peculiare del territorio,  quei fichi definiti “pane dei poveri” che erano fonte di sostentamento fino alla metà del ‘900 e costituivano persino il pagamento per la giornata di lavoro dei braccianti agricoli.

Così, negli anni, ha impiantato, su circa dieci ettari, 4000 piante di fico bianco dottato del Cilento, coltivate col metodo biologico, e, ispirandosi alla tradizione di trasformazione del fico, qui vivissima, ha cercato di rinnovare il processo produttivo: non più essiccazione al sole ma in serre in cui i fichi, tenuti a una temperatura poco superiore ai 40°, sono protetti dagli agenti esterni e dagli insetti, in un ambiente che Eugenio Cioffi definisce “chirurgico”. Il passaggio successivo dei frutti nel forno a legna non è dettato da esigenze sanitarie ma di gusto.
Così hanno origine le jette, fichi secchi infilzati su stecche di legno, e i moscioni, sia al naturale che farciti: le jette con noci, buccia di limone e finocchietto e i moscioni con mandorle e limone; dal fresco si ricava invece una confettura con l’88-90% di frutta, grazie a una cottura sottovuoto a bassa temperatura che garantisce la sicurezza dell’alimento senza denaturare i fichi, e si prepara la specialità più apprezzata di Murikè: i fichi sciroppati, richiestissimi nel nord Europa, dove vengono utilizzati in cucina, soprattutto in accompagnamento alle carni. Ispirati ai dolci tipici della Grecia, che con questa terra, inutile ricordarlo, ha dei legami profondissimi, nascono da frutti integri e perfetti che devono avere la buccia uniforme, per evitare che si rompa, cotti a fuoco lento su un fondo di zucchero senza alcuna aggiunta di acqua. Un lavoro lungo e impegnativo, tanto che non se ne producono più di mille barattoli l’anno.


Poi ci sono i fichi mondi, quando la stagione lo consente. Quelli che da queste parti si chiamano munnati: vengono sbucciati (munnati, appunto), portati in serra ed essiccati, ma richiedono frutti grandi, omogenei e di estrema qualità.  Quest’anno non sono stati prodotti perché le dimensioni dei fichi erano più ridotte, cosa che li rendeva inadatti alla sbucciatura. Si preparano al naturale o farciti con mandorle, buccia di mandarino e cannella, o ancora li si utilizza per preparare il salame di fichi.
Il progetto, per il prossimo anno, è di introdurre un prodotto nuovo: i fichi ricoperti di cioccolato, con fondente al 72% e una marinatura dei frutti nel rum.
Al momento non tutti gli appezzamenti, qui nella terra delle ginestre, sono in piena produzione. Potenzialmente si potrebbero raggiungere le 20 tonnellate di prodotto, che è l’obiettivo, mentre adesso se ne ottengono circa 3.

Ma ciò che conta è che il prodotto sia richiesto, che la sua bontà conquisti il cliente, che nessuno abbia a lamentarsene: è questa, per Angela ed Eugenio, la soddisfazione. Perché è così che si crea quella “nuova tradizione” fatta di qualità e salubrità, che può anche fungere da reale promozione del territorio, al di là delle chiacchiere e del marketing civettuolo. Un territorio di cui bisogna sconfiggere l’arretratezza, ma con i fatti, senza scorciatoie o iniziative evanescenti destinate a non incidere concretamente sulla realtà.

Fuori, al sole, Teresa e Marinella stanno grattugiando bucce di limoni biologici prodotti in azienda e inserendole nelle jette insieme alle noci e al finocchietto. Con Teresa parliamo di cucina vera, di casa, di quei piatti che non vogliamo perdere, di quanto fossero buone le patatine fritte nello strutto. Marinella, mi dice Eugenio, produce un miele che può chiamare per nome, e lo vende a dieci euro al chilo, mentre certo miele cosiddetto artigianale proveniente da zone inquinatissime, confezionato in minuscoli barattoli ben infiocchettati, si vende a venti (anche a trenta, dico io): perché quello di Marinella è cibo, non food. Chi produce materialmente il cibo guadagna ben poco, ma quando quel cibo si trasforma in food altri ci si arricchiscono, con il marketing e con tutto ciò che gli costruiscono intorno.


“Io non faccio marketing. Produco cibo, non food. Perciò sto zitto. Non voglio diventare moda. Sono un contadino, non voglio essere un personaggio”. Eugenio lo ribadisce molte volte, e io lo comprendo, anche se sulla comunicazione la pensiamo in maniera diversa. Io credo che la comunicazione non debba essere necessariamente marketing, fumo e apparenza, ma che possa essere diffusione di conoscenza. Che il consumatore possa crescere, con la comunicazione, e imparare a distinguere il miele di Marinella dal miele chic venduto a peso d’oro ma senza qualità, i fichi cilentani trattati con cura sia nella coltivazione che nella trasformazione da prodotti ricavati da frutti importati e malamente essiccati.

Eugenio Cioffi nel suo nuovo laboratorio

Ma forse sbagliamo entrambi. Io, che continuo ad essere, in fondo, un’illusa, e lui, che potrebbe farsi portare dall’onda del food e invece si ostina a credere nel cibo.
Sarà per questo che qui, tra gli ulivi e i fichi dell’agriturismo di Angela ed Eugenio, mi sento bene, respiro un’aria che mi piace e progetto di ritornare, presto, magari visitando quelle “grotte del diavolo” in cui venivano portati i fichi, sulle grate di ginestra, a seccare, o l’antica ferriera.

“Tutti gli antichi scrittori ne assicurano, essere i fichi stato il primo dilettevole frutto, di cui gli uomini abbian avuto cognizione su la terra; e alcuni di essi eran persuasi, che la scoperta e l’uso de’ fichi che lodiamo, avesse molto contribuito a far deporre al genere umano la primitiva barbarie.”*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Agriturismo Murikè
Località Pantana, 84030, Sicilì, Morigerati (SA)
Tel.: +39 3471767700

*De’ fichi secchi e del giulebbe, che sen può estrarre pei vari usi economici. Transunto d’una lettera del P. Niccola Onorati M.O., R. Prof. d’Agricoltura a Napoli. Giorno. Letter. di Napoli, in: Carlo Amoretti, Francesco Soave, Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti, tratti dagli atti delle Accademie, e dalle altre collezioni filosofiche, e letterarie, dalle opere più recenti Inglesi, Tedesche, Francesi, Latine, e Italiane, e da manoscritti originali e inediti, Milano 1798.

 

Informazioni sull'autrice

giovanna esposito

Napoletana, scrivo di cibo dal 2008; ho cominciato con un blog di cucina, Lost in kitchen, poi, dal 2011 al 2016, sono stata tra i redattori del web magazine Gastronomia Mediterranea.
Nel 2015 ho pubblicato per Guido Tommasi Editore il volume "Gli aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana", scritto a quattro mani con Lydia Capasso e illustrato da Gianluca Biscalchin. Con la stessa "squadra", ho pubblicato nell'aprile 2017 "Santa Pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste". A settembre 2017 è uscito il piccolo ricettario "Pasta al forno", scritto con Lydia Capasso e con fotografie di Virginia Portioli, sempre per i tipi di Guido Tommasi.
Sono maestra assaggiatrice Onaf.

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